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[La Guerra di Successione Spagnola]

[La Guerra di Successione Spagnola]

di Francesco Giarelli


Testo storiografico riguardante la Guerra di Successione Spagnola (1701-1714) a Codogno e nel suo circondario, redatto dallo storico Francesco Giarelli e tratto da Codogno e il suo territorio nella cronaca e nella storia.


Un nembo terribile si addensò sull’Europa ai primi dilucoli del secolo XVIII: la guerra per la successione di Spagna.

La morte di Carlo II, ultimo del ramo primogenito di casa d’Austria (1 novembre 1700), aprì il retaggio dei vastissimi dominî; quantunque il testamento del re cattolico chiamasse a succedergli Filippo d’Angiò, nepote di Luigi XIV; ed è possibile che nella mente ristretta, obumbrata da leggendaria ignoranza, Carlo non prevedesse quale e quanta ira di imperatori e di re sarebbesi scatenata su quel suo atto di ultima volontà.

Cominciò a respingerlo l’imperatore Leopoldo I, dichiarando che in sè, capo della secondogenita branca della casa austriaca, ricadeva esclusivamente per diritto feudale la corona delle Spagne, non potendosi in argomento di successione reale tener conto dei discendenti per linea cognatizia; e nè pure al testamento si acconciò Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, il quale provava i diritti proprî a cingere il diadema di Carlo V, come colui che esciva dalla progenie di Filippo II, pel sangue della bisava Caterina.

Il re francese non era di quelli che indietreggiavano se convinti di avere ombra di buona causa; e già egli aveva, per forza d’oro sparso nella corte madrilena, aiutato la fortuna della sua casa, in guisa che le disposizioni estreme del re defunto non vi trovarono nè in basso nè in alto opposizione di sorta.

Gli impedimenti vennero solleciti e fieri dall’imperatore; e prima furon vivaci proteste all’Inghilterra, all’Olanda, all’elettore bavarese, che avevano riconosciuto il nuovo re, e pure al duca di Savoia, che, mutando consiglio – anche perchè la figlia sua era salita al talamo dell’Angiò – a questi aveva reso omaggio di ricognizione.

Frattanto Leopoldo inviava, capitano supremo delle armi cesaree in Italia, il principe Eugenio di Savoia, nepote del cardinale Mazzarino, allora nel fiore della virilità, e che – pur coperto di gloria nelle guerre austro-turche – non aveva potuto dimenticare i giovanili rancori contro il «re Sole».

Di Francia scesero, agguerriti per copie e munimenti, primo il maresciallo Nicola di Catinat – già illustre per le vittorie fiamminghe e per quelle di Piemonte – e con lui Luigi di Vaudémont; poi il Villeroi, Luigi di Vendôme – già valoroso soldato del Turenne – e il duca d’Orléans con Luigi d’Aubusson, conte de La Feuillade.

Quali e quanti i fatti d’arme onde con varia vicenda fu combattuta al di qua delle alpi la guerra di successione non è nostro oficio descrivere. Solo è da rammentare che Vittorio Amedeo, dopo avere inclinato a Francia, subitamente s’alleò ad Austria; e nel condottiero supremo degli imperiali e suo consanguineo ebbe la intrepida e sapiente difesa della propria causa e di quella del suo popolo. E venne giorno glorioso in cui Torino vide le genti franco-ispane prorompere in dirotta, pel sacrificio sublime di un povero minatore d’Andorno, ed i principi di Savoia salutare dall’alto di Superga il trionfo, più che dell’armi, del saldo volere (29 agosto 1706).

Cominciarono le milizie francesi a mostrasi nel Lodigiano tre mesi dopo la morte di Carlo II, e tosto nei templi del contado fu fatta nei giorni festivi l’esposizione del Sacramento dopo i vespri, per allontanare il pericolo della guerra6. Però nell’inverno (8 febbraio 1701) i francesi erano già in Lodi, e – giusta il Ciseri, che ha tutta l’autorità del contemporaneo – così pieni di timidezza che le campane della città, sonanti al richiamo per lo spegnimento di un incendio fortuito e per il segnale della iniziata quaresima, furono interpretati come segnali della rivolta popolare; ed a quei soldati – in cui non era forse dileguato il ricordo degli squilli del siculo vespro e dell’apostrofe di Pier Capponi – tale sgomento cagionossi, che tutti accorsero all’armi sulla piazza Maggiore.

Per rinfrancare i suoi sudditi d’Italia, s’era mosso di Spagna, e per la via di Napoli era giunto a Milano, re Filippo (23 giugno 1702). Nove giorni dopo egli passava per Codogno, diretto a Pizzighettone; e, reduce dal campo di Modena, ripassava tra noi nell’autunno, onorevolmente accolto dalla comunità (5 ottobre). Se non che l’astro di Spagna impallidiva, e le imprese del principe Eugenio non s’erano arrestate dopo la celebrata liberazione di Torino.

Eugenio occupò Milano e Lodi, mentre il governatore Vaudémont si ritirava a Pizzighettone, dove i due principi savoiardi lo seguivano, ossidionando il forte. Le offese si iniziarono da Castione, volendo i due capitani austro-sardi costringere l’oste avversa a snidare da Cavacurta; e quivi una scaramuccia si dibattè, nella quale il principe Eugenio fu lievemente contuso di schioppo al braccio (4 ottobre).

Codogno era stato abbandonato dagli spagnoli e dai francesi (26 settembre), ed una leggenda – la quale ancora ai tempi del Goldaniga, che la riferisce, doveva essere sulle labra del popolo – racconta che «sortiti» gli assediati da Pizzighettone per sorprendere Codogno, un simulacro del patrono san Biagio acquistasse viva voce gridando: «Ecco il nemico!»; sì che, pel provvido avviso, ringagliarditi gli austriaci, fecer testa ai francesi, che precipitosamente si ritirarono.

Cavacurta cadde in potere del principe Eugenio e tosto il convento dei serviti – dove egli aveva posto il quartier generale – fu bersaglio alle artiglierie franco-ispane, che lo disertavano dall’opposta riva dell’Adda.

La resa di Pizzighettone (29 ottobre) segnò tra noi la costituzione – per allora militarmente – della sovranità austriaca, ratificata poi politicamente col trattato di Utrecht (13 agosto 1713).

In Codogno presidiava il corpo del principe di Vittemberg (febbraio 1707); e San Rocco, Guardamiglio, Fombio e vicinie eran quartiere al reggimento dei dragoni di Savoia, ond’era proprietario e condottiero il principe Eugenio; che – circondato da quegli splendidi cavalieri istituiti in suo onore – aveva preso possesso di Milano, in nome dell’imperatore Giuseppe I.

6 Archivio parrocchiale di Codogno.


Tratto da: Giovanni CairoFrancesco Giarelli, Codogno e il suo territorio nella cronaca e nella storia, Codogno, A. G. Cairo, 1897, vol. II, pp. 102-104.


Johann August Corvinus.

Die Eroberung Pizzighitone [La conquista di Pizzighettone].

1720, incisione (particolare).

Johann August Corvinus. Die Eroberung Pizzighitone. 1720, incisione (particolare)

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